CHE COS'È l'Ats? Se molti lombardi faticano ancora a districarsi tra gli acronimi partoriti dalla riforma che negli ultimi tre anni ha investito, partendo dal vertice, l'organizzazione del servizio sanitario lombardo, i dipendenti delle ex Asl alleggerite dal compito di erogare cure magari sanno cosa fare, ma forse non sanno più chi sono; e rischiano di sentirsi meri esecutori di una programmazione sociosanitaria decisa in Regione. Insomma, fatta l'Agenzia di tutela della salute, bisogna fare gli agenti, e questo motto pararisorgimentale l'ha fatto proprio Walter Bergamaschi, che da gennaio dirige l'Ats Metropolitana. La più grande delle otto e complicata, 5,5 miliardi di euro di budget annuale su due province, 194 comuni, 18 mila posti letto tra 9 Asst, tre Irccs pubblici e dieci privati (e altri 17.500 letti in Rsa), tre milioni e mezzo di abitanti irregolarmente sparsi su 1.600 chilometri quadrati, dalla metropoli col suo hinterland fìtto al Lodigiano, 200 mila persone su un terzo del territorio. E 1.753 dipendenti, con compiti di programmazione, negoziazione, prevenzione e controllo, che spaziano dalla veterinaria alla sicurezza sul lavoro alla farmaceutica al funzionamento stesso del servizio sociosanitario.
LA PROPOSTA di Bergamaschi è che si pensino «come angeli custodi » del cittadino, garanti del suo diritto alla «Tutela della salute per guadagnare salute», come s'intitola un documento di programmazione per il prossimo quinquennio, sottoposto per un mese alle osservazioni dei dipendenti, ma soprattutto messo al centro di un percorso di team building partito con incontri partecipatissimi nei distretti e culminato ieri, al Conservatorio, in una Sala Verdi riempita per tre quarti da un migliaio di «agenti» per un evento battezzato «Saremo Ats». Un «Ats Pride», «per dirci chi vogliamo essere», spiega il dg e declina la tutela del diritto alla salute in quattro capitoli: la prevenzione; il «diritto all'accesso e all'orientamento» («E tempi d'attesa adeguati ne sono il primo elemento »); il diritto a «cure appropriate, efficaci e sostenibili»; il diritto «alla prossimità», con risposte «non solo ai bisogni sociosanitari di una popolazione che invecchia, ma anche alle famiglie». Tra un intervento dell'ex ministro della Salute Girolamo Sirchia, pluriapplaudito a scena aperta, e un discorso sull'ascolto del business writer Alessandro Lucchini, sono però gli "interni", i direttori sanitario, sociosanitaria e amministrativo e i dirigenti dei dipartimenti, a ragionare intorno a «quattro parole chiave» del mestiere di Ats: integrazione, responsabilità, conoscenza, cioè analisi e dati da mettere a disposizione del decisore politico, ma anche dell'utenza, «perché non c'è libertà di scelta senza consapevolezza». E se il governa tore Attilio Fontana, nel suo saluto, richiamerà l'intenzione «di riappropriarci, come pubblico, della regìa della nostra sanità», l'Ats, sottolinea Bergamaschi, può fare la sua parte per contribuire «a ristabilire una certa competizione » nel sistema pubblico-privato, «un po' ingessato dai tetti di spesa e dall'aspettativa di ottenere risorse in base allo storico». La quarta parola è «iniziativa»: nella "Carta" l'Ats rivendica di non essere «solo articolazione territoriale del livello regionale» perché la riforma le conferisce «autonomia gestionale, contabile e organizzativa ». E la fondazione di un'identità passa anche per una domanda provocatoria alla Regione: «Siamo la periferia dell'impero?» Rispondono l'assessore in apertura e il dg del Welfare in chiusura, naturalmente di no: «Siete una parte determinante», sottolinea l'assessore Giulio Gallerà, di una riforma «necessaria per continuare a garantire l'universalismo della sanità». Il dg Luigi Cajazzo insiste che il rapporto con la Regione «è circolare. L'Ats è uno strumento formidabile di devoluzione sul territorio, espressione di un federalismo infraregionale, purché in sintonia con la casa madre. Come in un'orchestra».